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Sinagra è un paese ricco di artigiani tra cui falegnami, scalpellini, marmisti e lavoratori dell’alluminio. Queste persone grazie ai loro sacrifici e a quelli dei loro padri hanno potuto aprire un’attività propria realizzando il loro sogno.

Falegnami

Alcuni dei falegnami che il nostro paese ha avuto nell’epoca passata sono stati i Fratelli Giuseppe e Valentino Russo. Giuseppe nel 1957 apre insieme a Carmelo Giglia, anch’egli falegname, il suo primo laboratorio dotato di macchine elettriche. Nel 1963 Giuseppe, con l’unico obiettivo di guadagnare il denaro sufficiente per comprare i macchinari da mettere nel suo laboratorio, si sposta a lavorare in Germania. In questo viaggio è accompagnato dal fratello Valentino che già da ragazzino aveva incominciato a lavorare con lui. Dopo sei mesi i due fratelli tornano a Sinagra. Questi mesi trascorsi in Germania permettono loro di aprire un nuovo laboratorio di produzione, infatti prendono un nuovo magazzino e acquistano a Catania due macchine, una combinata e una sega a nastro. Qui lavorano fino al 1982. Nella loro laboratorio nascono gli arredi per la casa, quelli d’uso comune e quelli più impegnativi per le chiese, per gli uffici, oltre che i serramenti sia per il casolare di campagna che per l’edificio di prestigio. Nel 1982 Giuseppe lascia il magazzino dove svolgeva la sua attività e insieme ai figli Umberto e Cono decidono i ingrandire l’attività, trasferendosi in un laboratorio molto più grande. Il fratello Valentino è rimasto nel vecchio laboratorio fino al 2010 dove in seguito alla pensione e ad alcuni malori ha venduto tutti i macchinari e al posto della falegnameria ha costruito un’appartamento per lui e la moglie. L’attività fondata nel lontano 1957 da Mastro Giuseppe si è evoluta molto in questi ultimi anni trasformandosi da laboratorio artigianale in impresa artigianale, grazie all’acquisto di nuovi macchinari e alla scoperta di nuove tecniche di lavorazione che hanno permesso la riduzione dei tempi di consegna senza sacrificare la qualità dei propri prodotti, anzi consentendo la crescita e la diversificazione della clientela. Per conseguire questi risultati è stato necessario assumere gente nuova, tra i quali Nunzio Orlando e Giuseppe Sinagra che dopo aver accresciuto il loro bagaglio professionale si sono aperti ognuno la loro attività. Ad oggi Cono e Umberto affiancati dai loro validissimi operai tra cui Angelo Pina, Gino Ioppolo, Salvatore Randazzo, Christian Randazzo e Sergio Giglia, ormai defunto, continuano a lavorare, forti del prezioso insegnamento di Mastro Giuseppe e di oltre cinquant’anni di esperienza e attività avviata dal padre, e ora seguita anche dalla nuova generazione della famiglia.

Famiglia Mancuso Antonino e i figli Nunzio e Antonino e il nipote Nino

Carmelo Giglia un falegname che ha fatto scuola e dalle finestre di quella sartoria uno sguardo all'amore.

Carmelo all’età di dieci anni lavora in qualità di apprendista nel laboratorio di falegnameria  di Nunzio Mancuso, dopo sei anni và a lavorare a Messina.

Dopo un anno e mezzo si trasferisce di nuovo a Sinagra e ritorna a lavorare dal suo maestro,  fin quando deve partire per il servizio militare. Concluso il servizio militare  riprende a lavorare da Mancuso e rimane fino all’età di 23 anni.

A questo punto decide di mettersi in proprio e di aprire  un suo laboratorio in Via XX Settembre nel magazzino di Francesco Musca.

Il laboratorio era frequentato da tanti ragazzi fra cui (Melo Bongiorno, Francesco Maturano, Carmelo Pintabona, Melo Faranda, Daniele Ratto, Leone Mancuso e Diego Coci) quest’ultimo è l’unico che ha imparato bene il mestiere ed ha lavorato in Germania. All’interno della stessa  piazzetta Alberto Corica  aveva un laboratorio di sartoria  frequentato da ragazze. La vicinanza delle due attività fu origine anche di fidanzamenti e matrimoni. Dopo alcuni anni Leone viene affiancato da altri falegnami e precisamente Francesco Giglia e Pippino Russo: “il nostro lavoro artigianale – commenta quest’ultimo – consisteva nella fabbricazione di infissi esterni ed interni, mobili, madie ed altro”.

Nel 1986 chiude l’attività di falegnameria e i tre intraprendono strade diverse, Leone continua l’attività dei  suoi genitori  gestendo la bettola di famiglia a  “Putia du vinu” nella via  P. Amedeo  fino all’età pensionabile.

Oggi coccolato da sua  moglie  e dai suoi tre figli trascorre una serena vecchiaia.

Fonte: Pro Loco Sinagra

Fotografi

I primi  fotografi a Sinagra sono stato Don Pitrino la Pinta e Don Lio Agnello conosciuto come “U Russeddu” e  Salleo Carmelo Magno. Attualmente svolgono tale attività Vincenzo Agostino, Maria e Sara Furfari. 

SALLEO MAGNO CARMELO

Carmelo,  nato a Sinagra figlio unico,  molto viziato dai genitori. Amante del bello, grande appassionato delle motociclette, all’età di sedici anni decide di farsi un corso di fotografia a Messina.

Dopo aver superato l’esame ritorna a Sinagra ed apre in via  Roma nel Palazzo Salleo vicino alla Chiesa Madre S. Michele Arcangelo uno studio fotografico, ma continuaa a studiare sui libri e diventa sempre più bravo. Quasi tutte le foto di matrimoni, Battesimi, comunione, cresima e foto tessera ecc sono state scattatre da Carmelo. Adesso da alcunui anni è in pensione ma continua sempre la sua passione fotografando tutto ciò che  attira il suo occhio critico.

FOTOGRAFO SALLEO MAGNO CARMELO

Calzolai

UNA BOTTEGA ARTIGIANALE CROCEVIA DELLA VITA DI PAESE. QUELLE SCARPE DI GRAN LUSSO MA NON SOLO PER I NOBILI

 

Nunzio Agnello aiutato dalla moglie Giuseppina Catalioto, svolgeva l’attività di calzolaio,  soprattutto per le famiglie dei nobili. La sua bottega artigianale si trovava in Piazza S. Teodoro.

Il laboratorio era il  centro di incontro  e di “cuttughiu” del paese, tappezzato di giornali. Durante la  giornata passava Carminu Radici con un carretto e si fermava a leggere le ultime novità.

Mentre lui lavorava nella bottega la moglie a casa faceva le tomaie. Le sue scarpe erano eccellenti e di qualità, il pellame  veniva ritirato da Messina. La bottega era frequentata da giovani apprendisti fra questi spiccava il nipote Giglia. Ha lavorato circa cinquant’anni.

Il signor Agnello eccelleva anche  nella musica suonava il Bombardino: sono stati suoi allievi i maestri di musica Carmelo Radici e Carlo Spanò.

Arrivato all’età pensionabile chiude il laboratorio e i fratelli Collovà aprono un negozio di scarpe; giunti anche loro all’età pensionabile chiudono il negozio.

Nel frattempo  Sebastiano Natalotto apre  la bottega  di barbiere: ancora oggi è un formidabile centro d’incontro.

 

Prof. Calogero Corica, genero di Nunzio Agnello 

Sartorie

Sprazzi di luce intessendo gli abiti per eccellenza la scuola di vita, le sartine e il mestiere di saper vivere

I ricordi che ho di nonna Rosa sono limitati agli ultimi anni della sua vita, periodo in cui la sua attività lavorativa, data l’età, era ormai diminuita.

So delle sue qualità e doti di sarta perché me ne ha sempre parlato mia mamma e ho avuto modo di apprezzarle sfilando più volte con gli abiti da sposa da lei creati e cuciti, cosa che mi ha inorgoglito molto. Vedere i suoi lavori, anche molto vecchi e sentire la gente elogiare le sue qualità umane e professionali mi riempiva e mi riempie ancora oggi di gioia. Quando un giorno eserciterò la mia professione cercherò  di mettervi la stessa passione e lo stesso amore con cui mia nonna cuciva i suoi meravigliosi abiti.

Terminata la scuola elementare o media, buona parte delle ragazze Sinagresi si riunivano in una piccola stanzetta con una finestrella da cui entrava la luce. In estate, invece, munite di sedioline, ci sedavamo fuori. Nonna Rosa faceva in modo che ogni apprendista divenisse in poco tempo una brava sartina. Il suo carattere era molto forte e c’era molta disciplina. Dava consigli anche in tema di galateo.

Rosuccia

“A Za Ciccina” antesignana dei tempi moderni fra telai e sala giochi così ti conquisto i clienti

 

Francesca Orifici  donna emancipata per i suoi tempi rimane vedova  a causa della guerra nel 1947 e decide di aprire un’attività artigianale e commerciale insieme.

Nella Salita Celso avvia un laboratorio artigianale costituito da un telaio nel seminterrato. Di giorno a “za Ciccina” tesseva; sia i passanti che i  ragazzi guardavano meravigliati i lavori che realizzava commissionate dalle signore (è stata l’ultima tessitrice di Sinagra).

Mentre nella via Umberto 1° c’era  “a putia u vino”,  sulla porta un ramoscello d’arancio ad indicare il locale, una stanzetta terrana con tre minuscoli tavoli per le partite a carte, un banchetto con il recipiente dell’acqua  per sciacquare i bicchieri e alle spalle u” barrili”, il nettare che curava tutti i malanni sia fisici che psicofisici.

A Za Ciccina per attirare i clienti preparava i crispeddi, u luppinu, i favi bugghiuti indispensabili per far bere. I clienti  non vedevano l’ora che arrivasse la sera per poter giocare, bere e chiacchierare  nel piccolo locale  pieno di fumo.

A “putia u vinu” rappresenta un pezzo di vita sociale che ormai non esiste più. A ricordarla il cantastorie di Sinagra Melo Ballato cui ha dedicato la  canzone omonima.

Scappellini

Architetture di pietra e mestieri da perpetuare. Sinagra custodisce oltre cinquecento portali in pietra arenaria locale. Senza dimenticare una caratteristica meravigliosa: le “finestre dell’amore”.

Tra i pochi materiali costruttivi utilizzati nella tradizione, la pietra è certamente quello che maggiormente incide sull’aspetto e sulla consistenza dell’ambiente costruito tradizionale siciliano, e Sinagra non fa eccezione.

Malte, laterizi e intonaci sono frutto di lavorazioni che trasformano profondamente le caratteristiche del materiale lapideo, introducendo un grado di artificiosità. Invece, la pietra è posta in opera così come si trova in natura: senza alcuna trasformazione, nel caso di ciottoli; con piccole sbozzature, nel caso del pietrame irregolare; sagomata in forme regolari, nel caso dei conci. Il colore e la grana della pietra rimangono dunque riconoscibili anche dopo la messa in opera; per questo motivo le costruzioni in pietra appaiono perfettamente integrate con il paesaggio circostante.

Grazie alla stereotomia, gli edifici in pietra hanno raggiunto una complessità strutturale elevata e ancora oggi sorprendente: conci abilmente sagomati secondo precise geometrie hanno dato forma a coperture voltate, archi, scale, talvolta di straordinaria arditezza.

Anche nelle cosiddette costruzioni “minori”, la tessitura muraria delle architetture di pietra testimonia una sapienza costruttiva tramandata di generazione in generazione. Nelle parti speciali dei muri (stipiti e architravi; archi; cantonali; aggetti; cornici) questa sapienza diventava arte, producendo decorazioni che ingentilivano la pietra con figure geometriche, vegetali, zoomorfe o antropomorfe, secondo l’estro dello scalpellino o le intenzioni del committente.

Sinagra custodisce oltre cinquecento portali in pietra arenaria locale, che testimoniano l’evoluzione dei gusti nell’arco di tre secoli, tra il Diciassettesimo e Ventesimo. La stessa pietra dà sostanza a una caratteristica unica di questo insediamento: le “finestre dell’amore”.

Queste singolari testimonianze, che possono sfuggire al visitatore frettoloso, ricordano la leggenda di due innamorati: Nunziatina e Lio, uno scalpellino che scelse di applicare la sua maestria per dare pegno di un amore fedele e determinato.

Troviamo prova della tradizione costruttiva in pietra in innumerevoli altre architetture che costellano il territorio di Sinagra, caratterizzandone il paesaggio agrario, a partire dalle costruzioni di base, come i muri dei terrazzamenti e di confine, continuando con fontane (centoventisette quelle censite dalla Proloco di Sinagra nel REI, Registro delle Eredità Immateriali) e palmenti (degli oltre  cinquanta censiti, venticinque sono stati scavati direttamente nella roccia).

È doveroso ricordare i nomi degli scalpellini che a Sinagra perpetuano un’attività che nei secoli ha dato sostanza all’identità di Sinagra e del suo circondario: Lillo Astone; Salvatore Astone; Carmelo Manera; Carmelo Natalotto; Franco Natalotto.

A questo drappello la responsabilità di trasmettere al futuro l’arte di lavorare la pietra, con l’auspicio si possa trovare terreno fertile nelle nuove generazioni e linfa nella pubblica amministrazione.

 

Arch. Maria Luisa Germanà
Professore di Progettazione tecnologica dell’architettura
Università di Palermo, Dipartimento di Architettura

 

 

Natalotto Carmelo

Fabbri